IV domenica di Quaresima
Rubrica “Cammino Laudato Si’ – Vangelo della domenica”
Domenica 10 marzo
IV DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO B
Gv 3, 14-21
Il cammino quaresimale sui passi della parola giunge alla quarta domenica, laetare, a metà del percorso. Il vangelo che ci viene presentato oggi è un po’ la prosecuzione del vangelo di domenica scorsa, seppur con un salto sul testo. A Gerusalemme, dopo il confronto con i giudei, si pone il tema della fede, e lo scetticismo di Gesù che “conosce il cuore dell’uomo”. Adesso vediamo Nicodemo, maestro della legge, che nella sera della sua vita, al buio, cerca Gesù.
Sembra tornare la domanda, le prime parole di Gesù nel vangelo di Giovanni, “che cosa cercate?”, al buio. Dove cerchiamo il tempio di Dio? Nei versetti precedenti al testo che leggiamo nella liturgia, Gesù aveva detto a Nicodemo che era necessario “nascere dall’alto”, ma il maestro di Israele faticava a comprendere e Gesù, a più riprese, approfondisce il senso della sua affermazione. Oggi ascoltiamo un monologo di Gesù, non c’è dialogo, non c’è azione, c’è solo una spiegazione approfondita. Non ci sarebbe bisogno quasi di una riflessione o di un commento, oggi sarebbe sufficiente leggere la nostra vita alla luce delle parole di Gesù.
Quante volte nella vita ognuno di noi vive realmente? Quando si nasce, è un dato anagrafico, e dal punto di vista materialistico l’unica cosa certa alla nascita è che prima o poi dobbiamo morire. La vita allora è realmente vissuta solo quando aderiamo allo scopo stesso per cui siamo stati creati da Dio. Finché non si raggiunge lo scopo, non “si fa centro”, procediamo per gradi di realizzazione, e di conseguenza per gradi di insoddisfazione. Questo, in fondo, è il peccato, ἁμαρτία, mancare il bersagio. Solo quando amiamo con pienezza, come suggerito nel giardino di Eden, ciascuno di noi vive realmente. E’ come se ci venga data ogni giorno la possibilità di “rinascere dall’alto”. Amare è l’unico modo per dire grazie all’amore.
Gesù è l’esempio per eccellenza di cosa significhi rinascere. Infatti “bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo”, sembra quasi una indicazione di gloria, di onore, essere innalzato può essere letto come un successo. Ma dire di essere innalzato “come Mosè innalzò il serpente nel deserto” cambia tutta la prospettiva, si capisce che parla della croce, dell’umiliazione. Quello è il luogo della gloria, il luogo della nascita. Paradossalmente dove muore, lì si può vivere realmente e non per finzione! Ed è una vita senza scadenza, torna il tema della fede nel tempio, “perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”.
Le nostre relazioni malate sono il κόσμον, il “mondo” in Giovanni ha una accezione negativa. Nonostante ciò, “Dio […] ha tanto amato il mondo”, questo è il senso profondo del nostro credere, della nostra fede. Dio ci crea e ci ama immensamente nelle nostre fragilità, nelle nostre imperfezioni, nei nostri difetti, li abita e li riempie di amore, dona tutto, dona pure il suo unico figlio. Non è una teoria, una astrazione, pensate nella storia quante vocazioni, quanta sofferenza di uomini e donne consolata da queste parole di vita. Parole che ci fanno rinascere.
Gesù è venuto proprio per togliere il peccato, l’immagine distorta di Dio accecato dall’ira verso di noi, il giudice che condanna, poco prima aveva usato il flagello per distruggere questo tempio ideale creato dall’uomo, e svelarci invece il volto del Padre. Ci svela un volto innamorato. Quanto sarebbe più bella la nostra vita, se da oggi iniziassimo a vivere con la consapevolezza di essere amati!
Quante volte, al lavoro, a scuola, tra amici, ci siamo sentiti motivati quando ci siamo sentiti guardati con stima e con affetto, quanto ci è sembrato più semplice. Pensiamo a quanto possa cambiare la vita sentendosi amati da chi ci ha creati! Dio non è lì a condannarci, “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo”, ritorna ben tre volte la parola κόσμον, il “mondo”, il nostro essere imperfetti. Dio vuole che “il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Quanto è difficile distruggere questa immagine distorta di Dio.
Se letto in questa ottica, è chiaro come gli artefici del giudizio siamo noi stessi, e non Dio. Infatti “chi non crede è già stato condannato”, l’azione è già svolta, vivere lontani dall’amore di Dio è già di per sé una condanna. Quanta infelicità viviamo quando ci neghiamo atti di amore, quanto ci sentiamo bene dopo aver fatto un gesto di affetto gratuito? Quanto è bello rendere felice una persona? E’ lì il luogo del giudizio.
“E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo”, si capisce che i giudici non siamo neppure noi, ma il giudizio è che la luce è venuta a illuminare le nostre imperfezioni, il nostro peccato, il nostro continuo mancare il bersaglio. Sembra strano, ma “gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce”, in effetti il testo originale dice proprio ἠγάπησαν, parla di amore per le tenebre, diventa un amore incomprensibile, il terreno ideale della menzogna, che usa l’arma migliore dell’essere umano – l’amore, ciò per cui è stato pensato da Dio – per indirizzarlo nel modo sbagliato. Quanta creatività nel fare il male, nella storia dell’uomo!
Il monologo finisce senza una replica di Nicodemo, non sappiamo se il dottore della legge abbia compreso nel buio della sua esistenza le parole di vita di Gesù. Nel testo di Giovanni, a Nicodemo quasi si contrappone il Battista, all’uomo della legge si contrappone il profeta, e si vedrà una differente reazione alle parole e alle azioni di Gesù. Sta a noi soffermarci, contemplare questa grazia e queste parole, e scegliere se essere uccisi dalla luce o rinascere.
Come ci invita San Francesco di Assisi, nella parafrasi del Padre Nostro: “Oh santissimo Padre nostro: creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro. Che sei nei cieli: negli angeli e nei santi, illuminandoli alla conoscenza, perché tu, Signore, sei luce; infiammandoli all’amore, perché tu, Signore, sei amore; ponendo la tua dimora in loro, e riempiendoli di beatitudine, perché tu, Signore, sei il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene”. (FF 266-267).
Vi auguriamo di cuore buona domenica, in cammino verso la Pasqua del Signore, accompagnati dalla sua parola!
Laudato si’!