V domenica di Quaresima
Rubrica “Cammino Laudato Si’ – Vangelo della domenica”
Domenica 17 marzo
V DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO B
Gv 12, 20-33
Eccoci giunti alla quinta domenica di Quaresima, in cui si inizia a intravedere la sera di Gesù, la sua Pasqua. Il brano di oggi è quasi un condensato del vangelo di Giovanni, siamo al Capitolo 12, ma l’ultimo giorno verrà raccontato nei successivi sette capitoli. In questo racconto troviamo già ciò che manca al quarto Vangelo, il racconto dell’orto del Getsemani.
Il brano inizia dicendo che “c’erano anche alcuni Greci”. Pochi versetti prima, i farisei si lamentavano: “Vedete che non ottenete nulla? Ecco: il mondo è andato dietro a lui!”, tutto il mondo, compresi i pagani, vogliono conoscere Gesù. Non sono giudei D.O.C. ma sono simpatizzanti, non sono addetti ai lavori o specialisti della legge. I greci siamo noi, proseliti che vengono alla festa di Gerusalemme attratti dalla massa, ma senza forse sapere tutto. Siamo animati da uno spirito di popolo.
Non vanno direttamente da Gesù, forse nessuno di noi è chiamato direttamente da lui, ma cerchiamo sempre intermediari, sacerdoti, frati, maestri, padri spirituali. I greci vanno da Filippo, forse perché trovano familiare il nome, Φιλίππῳ è un nome greco, forse è pure uno dei discepoli del Battista ai quali il profeta indicò “Ecco l’agnello di Dio”. Anche noi cerchiamo contatto con chi riteniamo familiare, con chi ci ispira fiducia. E Filippo va da Ἀνδρέᾳ, altro nome greco, Andrea, discepolo dell’ora decima. Insieme vanno da Gesù.
La risposta di Gesù ci spiazza. Invece di esultare per il successo, sarebbe normale pensare di misurare la missione in base ai risultati, noi siamo sempre abituati a tracciare bilanci e a misurare il successo in base ai risultati. Ecco, invece di esultare, Gesù dice a Filippo e Andrea: «È venuta l’ora». Giunge al termine del vangelo la parola ὥρα, il tempo, l’ora che ha scandito i vari momenti del racconto giovanneo. A Cana aveva detto: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2, 4); alla Samaritana al pozzo aveva detto: “Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv 4, 23); nel Capitolo 5 aveva detto: “viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno” (Gv 5, 25); non riuscivano a catturarlo, e “nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora” (Gv 7, 30). E nell’ultimo giorno di Gesù, verrà sempre ribadito come sia arrivata l’ora. Quale ora? Il tempo della croce, della gloria.
La gloria, il senso della missione di Gesù, si vede dal chicco. Se mangiamo un chicco, alla fine mordiamo un semino. Se il seme viene piantato, muore, produce frutto, e ci saziamo. Ecco la differenza. Questo è il dono, portare frutto. Non è solo morire per morire, non è desiderio di soffrire, ma è donare tutto per portare frutto. Il gesto estremo di amore. Tutta la passione che verrà narrata da qui in poi nel vangelo di Giovanni è un racconto di questo chicco di grano che muore. I greci vogliono vedere Gesù, e lui dice che lo potranno vedere quando sarà posto bene in alto, sul legno della croce.
“Chi ama la propria vita, la perde” è un’espressione che racchiude il senso della vita, che ci riporta alle origini della creazione di Dio. Perché siamo stati creati? Qual è il sogno che Dio ha su di noi? Amare! Ma dobbiamo stare attenti a che cosa vogliamo amare: il rischio è diventare egoisti. Pensiamo all’aria, bene assolutamente prezioso e di cui nessuno di noi può fare a meno per più di pochi secondi, bene talmente prezioso che Dio ci offre gratuitamente. Immaginiamo di volerci impossessare di questo bene, di immagazzinarlo e trattenerlo solo per noi. Finiremmo asfissiati! Allo stesso modo, senza accorgercene, quando tratteniamo tutto, quando ci impossessiamo delle relazioni e della nostra casa comune, finiamo per perdere tutto. Francesco di Assisi aveva trovato la felicità vivendo senza nulla di proprio. Francesco ha odiato la propria vita.
La conseguenza è una vita piena, ricca di relazioni, nutrite nel servizio. “Se uno serve me, il Padre lo onorerà”. Quanta dignità in queste parole, quante persone servono Dio nel silenzio. Ma tutto ciò, lo sappiamo bene, non è uno scherzo, e Gesù per primo combatte proprio con l’angoscia di questa ora. E’ il Getsemani non raccontato da Giovanni: “Adesso l’anima mia è turbata”. Forse non ci facciamo caso, ma ci sono tutti gli elementi che contempleremo il giovedì santo. C’è il turbamento, lo abbiamo detto, c’è la preghiera al Padre, Abbà implorato gettandosi a terra; c’è la domanda di allontanare questo calice, dicendo “che cosa dirò, salvami da quest’ora?”; c’è il tema della volontà, non la mia ma la tua volontà, quando dice: “Padre, glorifica il tuo nome”. A modo suo, e in un altro contesto temporale, anche Giovanni ci consegna il dramma del frantoio di Gerusalemme.
Anche la Trasfigurazione, evento non raccontato nel vangelo di Giovanni, è contenuta nella scena successiva, la voce che viene dal cielo, e che infatti invita tutti noi dicendo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». Come nel racconto dei sinottici, l’evento del Tabor non è per Gesù, non aveva bisogno di intrattenersi in dialogo con Mosè e Elia, ma era per i tre discepoli che rappresentano tutti i nostri limiti umani. Gesù, rispondendo alla folla che non capisce, spiega il senso della croce, giudizio di questo mondo. Noi immaginiamo sempre un Dio giudice, pronto a condannare, e Gesù invece ci mostra il volto del Padre, innalzato nel legno della croce.
San Francesco di Assisi nel Cantico delle Creature esalta coloro che offrono la vita per gli altri, quando canta: “Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli che ‘l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati”. (FF 263). Non a caso in Francesco compare il tema dell’incoronazione, ispirato alla glorificazione di cui parla la voce dal cielo.
Vi auguriamo di cuore buona domenica, in cammino verso la Pasqua del Signore, accompagnati dalla sua parola!
Laudato si’!